Ultimo aggiornamento: Mercoledì, 27 Dicembre 2023 Ore 00:26:14 Aggiorna

Cina: crescita economica ai minimi da 30 anni

A Pechino serve un nuovo piano per rilanciarsi: non bastano i 290 miliardi di dollari del Governo


La Cina reagisce lentamente ai quasi duemila miliardi di yuan (291 miliardi di dollari) di misure di sostegno annunciate dal Governo a marzo e l’aspettativa per un nuovo intervento sale.

Calano gli investimenti e allo stesso modo la fiducia alle imprese: tra aprile e giugno la crescita del Pil ha frenato al 6,2% su base annua, dal 6,4% dei due trimestri precedenti. 

Si tratta del dato più debole dal 1992, da quando l’Istituto nazionale di statistica di Pechino ha iniziato a raccogliere questi dati. Si torna così al periodo precedente al boom economico della Cina e ci si avvicina all’estremo più basso della forchetta del 6-6,5% prevista da Pechino per quest’anno. Nel 2018, la crescita era stata del 6,6%.

La domanda interna resta ferma: il contributo dei consumi alla crescita si è bloccato al 60% nella prima metà del 2019, dopo aver raggiunto il 76% nell’intero 2018. Il rafforzamento delle vendite al dettaglio, cresciute del 9,8% a giugno dall’8,6% di maggio, non altera il quadro, sia perché si tratta di un dato volatile, sia perché è influenzato dal ribasso dei prezzi adottato dalle concessionarie di automobili, con l’idea di fronteggiare la crisi del settore. Le vendite nel settore automotive sono salite del 17%, ma la produzione, che diminuisce costantemente da quasi 1 anno, è crollata di oltre il 15 per cento.

Inoltre, anche gli investimenti fissi sono in frenata al 5,8% a metà del 2019, contro il 6,3% del primo trimestre. Allo stesso modo, gli investimenti nel settore manifatturiero, aumentati del 4,6% tra gennaio e marzo, si fermano a una percentuale di crescita del 3% nei 6 mesi di quest’anno.

In questo quadro negativo c’è però anche qualche segnale positivo: a giugno la produzione industriale è salita del 6,3%, rispetto al 5% di maggio.

Cina: i conflitti con gli Stati Uniti

Sull’economia pesa soprattutto l’incertezza generata dai dissidi con Washington: sia per quanto riguarda la supremazia tecnologica, sia per quanto riguarda la guerra dei dazi. 

Il Presidente degli USA, Donald Trump, nel frattempo si vanta della sua politica e ieri ha dichiarato che i dazi americani stanno avendo un forte impatto sulle imprese che vogliono trasferirsi fuori dalla Cina, in Paesi in cui non sono presenti i dazi. Un’analisi di Ihs Markit mostra però che la fiducia delle imprese a giugno è scesa ai minimi dal 2009: meno di un decimo delle 7mila aziende del campione si aspetta un incremento dell’attività economica nei prossimi 12 mesi.

La tregua raggiunta lo scorso giugno al G20 di Osaka tra l’America e Jinpin non toglie comunque le paure per il futuro.
Ieri dal quotidiano People’s Daily sono arrivate minacce di ritorsioni nei confronti dei gruppi Usa coinvolti nell’accordo per la vendita di armi a Taiwan, per un valore superiore ai 2 miliardi di dollari.

A giugno, le esportazioni cinesi sono diminuite dell’1,3% su base annua. Il contributo delle esportazioni nette alla crescita del Pil, nella prima metà dell’anno, si è fermato al 20,7%, dal 22,8% del primo trimestre. Tra gennaio e giugno del 2019, il 55-60% delle esportazioni cinesi è stato rappresentato da prodotti meccanici e elettronici, molto vulnerabili alle tensioni con gli Stati Uniti.

In questo contesto, la maggior parte degli analisti, ritengono probabili nuovi interventi a sostegno della crescita, erogati tramite incentivi fiscali o con l’allentamento della politica monetaria. Quest’ultima ipotesi potrebbe però essere resa complicata dall’indebitamento del sistema economico cinese, che continua a salire: i dati dell’Institute of International Financene dicono che nei primi 3 mesi del 2019 ha superato i 40mila miliardi di dollari e toccato il 304% del Pil.