Ultimo aggiornamento: Mercoledì, 27 Dicembre 2023 Ore 00:26:14 Aggiorna

L'algoritmo in grado di valutare la reputazione di una società: intervista a Riccardo Taverna di Aida Partners

Misurare la reputazione di una società è fondamentale per capire come pensano gli stakeholder e agire di conseguenza


Investorado ha intervistato Riccardo Taverna, Direttore Economia Civile & Sostenibilità in Aida Partners, che 15 anni fa ha sviluppato e testato un algoritmo in grado di valutare in modo oggettivo la qualità della comunicazione nelle società quotate in Borsa.

Oggi l’algoritmo si è evoluto ed è in grado di misurare la reputazione di qualsiasi società, a prescindere dalla grandezza dell’azienda o dal settore in cui opera.
Com’è stato possibile? Su cosa si basa questo metodo?

Iniziamo dalla sua carriera. Me la può riassumere brevemente?

Ho iniziato a occuparmi di comunicazione d’azienda agli inizi degli anni ‘90 in un’agenzia molto piccola, la MGD & Associates, che si occupava di comunicazione al mercato finanziario.
In quel periodo gli operatori sui mercati finanziari italiani non avevano una grande reputazione perché i giornalisti del settore, quando si trattava di citare le opinioni di operatori autorevoli, facevano sempre riferimento ai player esteri come Lehman Brothers e JPG Morgan.
Gli analisti finanziari italiani erano considerati periferici, pur avendo competenze spiccate: erano validi, ma il mercato non recepiva il loro valore.
In MGD & Associates abbiamo elaborato un progetto chiamato “Il Leonardo della ricerca finanziaria”, mirato a promuovere gli analisti italiani e siamo riusciti a portare questa categoria alla ribalta della stampa, dandogli la credibilità che meritava.
In seguito ho fondato Strike Communications, la mia prima agenzia.

In che momento della carriera ha pensato di sviluppare il suo algoritmo in grado di valutare in modo oggettivo la qualità della comunicazione delle società quotate?

La mia carriera è cambiata nel 2001, quando ho deciso di lasciare l’agenzia che avevo fondato. Le mie idee di sviluppo che non erano in linea con quelle dei miei soci e ho preferito uscire dall’azienda.
Mi sono dovuto quindi rivendere sul mercato, dove avevo come competitor le grosse agenzie di relazioni pubbliche, le quali si occupavano della comunicazione corporate di grandi società.

Era evidente che non potessi fare concorrenza a loro e ho pensato di dover trovare una nicchia in cui inserirmi tra l’azienda e il consulente. È in questo momento che è nato il mio metodo.

Con alcuni collaboratori ho elaborato un sistema di valutazione della qualità della comunicazione delle società quotate che seguiva una metodologia rigorosa. Come strumento campione è stato scelto il comunicato stampa sui risultati di bilancio, che in quegli anni doveva essere veicolato per legge 4 volte all’anno e aveva dei requisiti di contenuto necessari, indicati dal Testo Unico della Finanza.

L’analisi è stata condotta dividendo il comunicato stampa in variabili di struttura e variabili di contenuto. A questi elementi non abbiamo dato delle valutazioni arbitrarie, ma abbiamo inviato un questionario a 67 persone, tra giornalisti economico-finanziari ed analisti finanziari, ai quali abbiamo chiesto di esprimere una valutazione di importanza nei confronti degli elementi di struttura e di quelli di contenuto. Il risultato ci ha permesso di avere un dato oggettivo e privo di considerazioni personali.

Il passo successivo è stato quello di analizzare i comunicati stampa sui risultati di bilancio dei due anni precedenti di tutte le società quotate in Italia, con l’aiuto di alcuni collaboratori.
Il risultato di questa ricerca ha permesso di stilare una classifica che determinava la qualità della comunicazione delle società quotate e la sua pubblicazione su “Il Mondo” ci ha consentito di avere una visibilità notevole. In seguito alla pubblicazione, l’Istituto di Economia Aziendale dell’Università Ca’ Foscari, ci ha chiesto se fosse possibile dare a loro il nostro database. È seguito uno studio, svolto con delle regressioni statistiche e il risultato è stato che in condizioni di mercato normale se l’indicatore di qualità della comunicazione cresce, allora cresce stabilmente l’andamento del titolo dei volumi scambiati.

L’algoritmo era valido, ma non potevo propormi come consulente per la redazione dei comunicati stampa, perché era un’attività già svolta dai miei concorrenti. In ogni caso siamo riusciti a posizionarci tra le aziende e le agenzie di comunicazione, in qualità di valutatori della capacità dei consulenti di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di comunicazione dei loro clienti.

Per questo motivo, nello stesso periodo, tra il 2005 e il 2006, insieme a un docente dell’Università Cattolica di Milano, ho elaborato un sistema di valutazione oggettivo della reputazione delle società quotate in Borsa.

Come avete operato per arrivare all’elaborazione di questo sistema di valutazione della reputazione?

Ci siamo proposti di ricostruire la mappa mentale con la quale un investitore, un analista, un piccolo risparmiatore o un giornalista, si attivava nel momento in cui si rapportava ad una società quotata. Per un anno abbiamo intervistato operatori e opinion maker e abbiamo ricostruito il perimetro della reputazione di una società quotata.  Il nuovo algoritmo, chiamato BSQ (Brand della Società Quotata), è stato prima testato nel settore bancario e in seguito validato.
Abbiamo verificato che in un mercato normale, l’andamento della reputazione seguiva l’andamento del titolo, oltre che quello dei volumi. In seguito alla pubblicazione della nostra ricerca le prime società quotate che ci hanno ingaggiato sono state Unipol, Unicredit e Intesa Sanpaolo.

Lei oggi si occupa di sostenibilità e lavora in Aida Partners; com’è arrivato a questo traguardo? Com’è riuscito a sviluppare il suo metodo di valutazione?

Nel 1999 ho incontrato Alessandro Paciello, Presidente di Aida Partners, con il quale c’è stata un’immediata sintonia dal punto di vista professionale. Sono stato introdotto al mondo della sostenibilità, che in quel momento era un tema emergente, per il quale mancava però concretezza.
Abbiamo quindi traslato nell’ambito dello stakeholder engagement gli algoritmi che avevo ideato, continuando comunque a svilupparli.

Oggi siamo arrivati ad avere un sistema di monitoraggio della reputazione delle società definito Social Responsability Reputation (SRR), che è lo schema mentale che tutti gli stakeholder mettono in atto quando si rapportano con una società, non conta che sia quotata o non quotata, di grosse o piccole dimensioni.

In 15 anni algoritmo è stato applicato in tutti i settori economici, misurando la reputazione della società e l’impatto che le sue attività hanno sugli stakeholder. Ancora oggi è l’unico metodo che possa misurare oggettivamente questo impatto.

Come pensa che il Social Responsability Reputation si evolverà in futuro?

Non so in che direzione il SRR si evolverà, ma so che lo farà. La nostra filosofia è quella di ascoltare sempre il mercato, senza pensare di essere i migliori nel nostro settore: siamo aperti agli input e mi sento di poter dire che siamo bravi a rispondere ai segnali deboli che anticipano i futuri trend.

L’algoritmo SRR mi sorprende ogni volta che lo applichiamo. Tutte le realtà che ci richiedono l’applicazione dell’SRR hanno sempre qualcosa di differente da aggiungere alla nostra indagine, in seguito alla quale stabiliamo la strategia di sostenibilità dell’azienda e la sua comunicazione. Questo ci consente di scoprire applicazioni sempre nuove.
Inoltre, il Social Responsability Reputation, si è dimostrato un ottimo strumento per fare un’analisi di materialità concreta e completa.

Per rispondere alla sua domanda le dico che, a mio avviso, un ambito in cui SRR ha grandi potenzialità è proprio quello delle società quotate, dalle quali è partito in origine.
Le società quotate hanno una caratteristica che quelle non quotate non hanno: ogni giorno sono sottoposte al giudizio del mercato per quanto riguarda la loro capacità di creare valore.

Se analizziamo la reputazione della società quotata in termini di sostenibilità dal punto di vista di tutti gli stakeholder e poi aggiorniamo periodicamente questo indicatore sono sicuro che al crescere della reputazione della sostenibilità, cresca parallelamente anche il valore del titolo.

La percezione degli stakeholder risponde agli input dell’azienda: se l’azienda comunica correttamente al mercato la sua strategia e la sua capacità di raggiungere i suoi obiettivi strategici, che siano sociali, ambientali e/o economici SRR può dimostrare la correlazione diretta e diventare uno strumento importante per la pianificazione strategica della sostenibilità o del piano industriale dell’azienda che, a mio parere, devono essere considerati una cosa sola.

Il SRR è quindi un metodo che in futuro si evolverà e continuerà a farlo; in quale direzione ce lo potrà dire solo il tempo. Il dato certo è che le società non possono più prescindere dalla considerazione che gli stakeholder hanno di loro.

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